Ti racconto il mio parto #9
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Durante la gravidanza del mio primo figlio, 15 anni fa, mi sono più volte detta che l’essere incinta non significava essere ammalata e che “lo stato interessante” era, appunto, un particolarissimo, stupefacente e miracoloso periodo della mia vita che avrei tentato di affrontare nel modo più sereno possibile. Per questo motivo ho ridotto all’essenziale tutti gli esami e le visite previste. L’idea di dover monitorare ogni istante della gravidanza mi metteva ansia e mi dava la sensazione di malattia, che tanto volevo rifuggire. Allo stesso modo, avrei voluto rifuggire l’ansiogeno e doloroso momento del travaglio e del parto, affidandomi alla provvidenziale anestesia epidurale. Pensavo che nel 2007, una efficace gestione del dolore fosse una prassi ovvia e disponibile, ma, evidentemente, mi sbagliavo, perché non è assolutamente né ovvia né disponibile.
Non tutti gli ospedali la prevedono e anche quelli che la prevedono, non ne garantiscono l’accesso, perché gli anestesisti sono pochi e non è detto che nel momento fatidico siano disponibili. Nonostante questo, ho scelto, comunque, di partorire nell’ospedale che prevedeva l’utilizzo dell’anestesia, sperando di poterne usufruire. Accompagnata da mio marito, ho vissuto 6 delle 12 ore del mio travaglio, in una stanzina, suddivisa da un pannello, dietro al quale c’era un’altra donna in travaglio, supportata a sua volta dal marito. Ho richiesto più volte all’ostetrica, che a vari intervalli veniva a verificare l’avanzamento del mio travaglio, di poter fare l’iniezione epidurale.
Secondo lei non era mai il momento giusto per farla…o era troppo presto, oppure era troppo tardi, oppure non era necessaria, in fondo il dolore sembrava non essere un problema. Devo averla richiesta con insistenza e portato l’ostetrica a cedere per sfinimento, perché, alla fine, l’anestesista è arrivato e l’epidurale l’ho ricevuta veramente. Devo dire che è stata provvidenziale, perché ero esausta.
Il travaglio era iniziato all’una di notte e non avevo chiuso occhio. Mi ha permesso di rifiatare per circa mezz’ora, prima che iniziasse il parto. Per agevolare la nascita di mio figlio mi hanno praticato l’episiotomia, che ha richiesto circa una dozzina di punti di sutura. Finito l’effetto dell’epidurale, il taglio dell’episiotomia ha iniziato a farsi sentire e ha continuato a farsi sentire per circa tre mesi dopo il parto. Anche in questo caso ho dovuto far presente più volte all’infermiera/ostetrica del dolore dovuto all’episiotomia, perché, anche in questo caso, sembrava che il dolore non fosse e non dovesse essere un problema.
Le risposte erano tese a minimizzare la questione con frasi del tipo: “Saranno le emorroidi, sono così frequenti dopo il parto”, oppure: “Basta fare dei lavaggi con acqua fredda”. Nonostante la gioia, lo stupore e la meraviglia per il dono della vita che si è rinnovato, permane il ricordo amaro di questi episodi di indifferenza e di minimizzazione del dolore, vissuti e percepiti come una mancanza di cura e di rispetto.
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