Ti racconto il mio parto #6
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Parto, parto… è sì, è proprio un viaggio!
Parto da una condizione generale che è quella della pandemia, che ha fatto sì che vivessi tutta l’esperienza del parto in maniera un po’ anomala. Userei questa parola senza entrare in grossi tecnicismi o polemiche. L’anomalia è stata nell’organizzazione, stando delle vere ore in attesa che mi rispondessero dal CUP per prenotare le visite, con la musichina di -Per Elisa- di sottofondo ormai imparata a memoria. Quindi veramente un esercizio di tenacia, di pazienza, di “stare” con quello che c’è veramente. Non far si che l’ormone prendesse il sopravvento.
Non è stato semplice anche perché il secondo trimestre l’ho vissuto in lockdown. Anche se, avevo un’energia vitale particolare addosso che ha fatto sì che anche quella forzatura io la vivessi comunque in maniera creativa. Infatti, ho dipinto, ho seguito un corso di insegnamenti di Dharma legati al Buddhismo, ogni giorno ho fatto il giro dell’isolato per muovere le gambe per la circolazione, mi “imbellettavo” tutta nonostante il mio giro fosse tipo criceto sotto casa. Avevo però una forte energia propulsiva, creativa, vitale, che mi faceva vivere questo quotidiano anomalo, ma vitale.
Poi è arrivato il momento dell’avvicinamento al parto. Il bambino non si era girato nonostante avessi fatto tutta una serie di esercizi, legati allo Yoga, tecniche di rilassamento che hanno visto coinvolte amiche ostetriche. A me bastava essere “ciancicata”, come si dice in toscano, “tocchicchiata” per sentirmi coccolata. Nonostante avessi provato alcune tecniche, senza attaccamento, senza l’angoscia di dire “Oddio si deve girare!” pensavo che se fosse rimasto podalico fino all’ultimo sarei rimasta ancora una volta con quello che c’era. Quello che il bambino voleva. Quello che il Karma, il caso, il destino riservava per me. E quindi ho provato la tecnica della moxa da un’associazione di ostetriche dalla quale mi ero fatta seguire anche per visite, consulenze, confronti, corso pre-parto. Poi ho provato il rivolgimento nell’ospedale dove ho poi partorito il bambino, ma tutte tecniche che non sono andate a buon fine perché il bambino è rimasto podalico e così mi hanno vista davanti all’agenda a fissare il momento del parto. Quello è stato veramente strano: “Allora Signora, quando vuole partorire?”. Chiaramente le aspettative, l’immaginario mi avevano fatto vivere quel momento in tutt’altra maniera, in tutt’altra modalità. Invece mi trovavo con l’agenda in mano a prenotarlo. Sta di fatto che poi anche se l’agenda vedeva scritto parto di “xxx” o “xxx”, perché noi non avevamo voluto sapere il sesso del nascituro, per cui c’era questo dubbio che fosse maschio o femmina, ero molto emozionata con questa data fissata alla scoperta di chi si celasse dentro di me. E nonostante fosse il 21 la data prescelta, il bambino ha deciso poi di rompere le acque il 19. È nato il 19 luglio 2020 con una fuga all’ospedale e un parto cesareo improvvisato, con un’energia vitale incredibile, zero paura, è stato tutto rapido. Il mio compagno è stato con me tantissimo tempo e abbiamo vissuto tutto con un’emozione di felicità incredibile. Veramente la paura non albergava in me.
Un’altra parte interessante del percorso è stato il corso pre-parto che noi abbiamo vissuto tutto interamente online. Quello è stato un momento di affaccio sul mondo, sulla socialità che in quel momento non era garantita a nessuno. Poi, da quelle relazioni dietro gli schermi sono nate delle bellissime amicizie con coppie che tutt’ora frequentiamo e sono parte della nostra vita. Quindi bellissimo. Poi ci sono stati anche momenti di dissapore: sicuramente quella che viene definita violenza ostetrica la puoi ritrovare in tante forme. Per esempio, in un centro dove sono andata a fare delle visite ho trovato tanta arroganza, incompetenza ho trovato una modalità di trattare le donne assolutamente non consona, non solo per il momento di particolare sensibilità che vive una donna, ma proprio in generale come relazione tra esseri umani. Ho trovato tanta medicalizzazione, ecco perché poi ho provato a scegliere un percorso un po’ più relazionale e un po’ meno medicale, un po’ meno “sanitario”.
In generale la mia esperienza di parto è stata positivamente anomala. Ricordo il bellissimo pianto in cui mi sono sciolta il giorno successivo al parto, un po’ per la stanchezza, un po’ per l’emozione e questi occhi potentissimi che ti guardano mentre puppa è una sensazione, soprattutto per il primo figlio, potentissima. Indescrivibile da quanto ti invade, ti arricchisce, ti prende. Bellissima, meravigliosa. I familiari più stretti sono venuti a casa quando poi mi hanno dimesso. Quelli più allargati sono intervenuti molto più diluiti per la questione covid e devo dire che è stato un bene perché poi sei stanca, sei emozionata, sei alle prese con qualcosa che nessuno ti ha insegnato cioè il fare la mamma, gestire questo piccolo esserino e tutti i suoi bisogni e quindi c’era bisogno di nido, c’era bisogno di raccogliersi, c’era bisogno di pace e questa situazione anomala me l’ha garantita. Ho trovato un compagno molto forte accanto a me che mi aiutato e sostenuto in tanti momenti e quindi devo dire che è stato un’esperienza molto molto potente, piacevole, in cui mi sentivo forte e bella. E devo dire che non è proprio uno stato d’animo che accompagna tutti tutti i giorni del mio quotidiano, quindi per questo è stato un momento di particolare potenza. Potere nel senso bello del termine, nel senso della possibilità, dell’apertura, della ricchezza.
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