Ti racconto il mio parto #3
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Ho partorito negli anni Settanta, in un piccolo paese del nord dell’Italia. All’epoca potevamo ancora contare sulle ostetriche condotte per i monitoraggi di routine e la mia gravidanza stava procedendo in tranquillità, tanto che fino all’ultimo minuto ho condotto la mia solita vita, incluso il lavoro.
Ammetto di non essermi troppo informata durante la gravidanza, pensavo che al momento giusto sarei andata in ospedale e avrei semplicemente partorito come avevano fatto tutte.
Non mi aspettavo il senso di smarrimento e paura che invece mi sono ritrovata ad affrontare una volta giunta in ospedale. L’ingerenza, le visite di controllo effettuate da medici distratti, senza cura né attenzione. La rasatura, il clistere il non capire quello che mi stava accadendo. Il dolore.
Ma soprattutto il fatto che nessuno si fosse accorto che mio figlio era in posizione podalica, con il cordone attorno al collo fino all’ultimo, quando ormai stremata non reagivo più, non spingevo più. In quel momento l’ostetrica, che fino ad allora non aveva smesso di urlarmi addosso, mi è saltata letteralmente sulla pancia (con quella che poi ho scoperto essere la manovra di Kristeller che in alcuni Paesi, come il Regno Unito, è ad esempio proibita per i grossi rischi che le sono correlati) procurandomi un dolore ancora più’forte ma facendo finalmente uscire il bambino. Ovviamente mi è stata effettuata anche un’episiotomia di cui porto ancora i segni dopo tanti anni.
Per me è stata un’esperienza così traumatica da non aver voluto avere altri figli.
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