This is going to hurt
Tra le serie britanniche a tema ostetricia, come Call the midwife (Chiamate l’ostetrica), abbiamo di recente guardato This is going to hurt (tradotto in italiano con Le farò un po’ male), tratto dall’omonimo romanzo di Adam Kay.
Una serie di cui è protagonista proprio il dottor Adam Kay, una vita in bilico tra i corridoi di un reparto di ostetricia di un ospedale londinese, gli abiti e le scarpe costantemente coperti di sangue. La serie non ha paura di mostrare la nascita così com’è: cruda, pericolosa, sanguinolenta. Le nascite a cui assiste hanno i volti arricciati di donne spaventate e spavalde; donne che sembrano sapere il fatto loro, come la paziente che vuole tenere la placenta e tenta di addentarla per fermare un’emorragia. Medici davvero preoccupati per la salute dei loro pazienti, in piedi grazie a generose tazze di caffè lungo, sempre in lotta con un sistema sanitario che crolla letteralmente a pezzi intorno a loro (letteralmente, perché nonostante la manutenzione i soffitti crollano, il sistema elettrico va in tilt e tutto questo nonostante si stia preparando la visita del Ministro della salute in persona).
Perché ci piace
La serie tratta temi importanti, come la morte, la violenza domestica, gli investimenti (sempre scarsi e pochi) nella sanità, la diversità (Adam è gay, le sue colleghe maltrattate dalle pazienti per il colore della loro pelle). Non ha alcuna velleità di mostrare una realtà patinata, e non teme di far vedere la realtà liminale della vita e della morte per quello che è.
Ci piace perché riconosce che la nascita non è un modello a senso unico, ma ogni nascita è diversa così come diverse sono le donne che partoriscono, ed i loro figli. Ci piace perché denuncia un sistema (sanitario e non solo) che invece tende alla massificazione, ad un “one size fits all”, come si direbbe in inglese. E al risparmio a detrimento del paziente (che ad un certo punto viene definito “cliente” in un corso di formazione interno) e dei medici, costretti a turni massacranti che li portano al limite dell’errore umano.
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