Ivana Arena, ostetrica e scrittrice, siede nel Comitato scientifico di AMINa. Si è laureata in Lettere con l’ambizione di diventare regista: un parto traumatico l’ha spinta a cambiare l’approccio alla nascita.

Come sei arrivata all’ostetricia?

Era un sogno di bambina, a cui però sono arrivata facendo tesoro di una esperienza negativa.

Nell’anno della laurea in storia e critica del cinema ho avuto una bambina voluta, con parto cesareo necessario ma un maltrattamento emotivo pesante. Oltre alla sofferenza che le cose fossero andate in modo diverso da quello che volevo, quell’esperienza mi ha portato a voler salvare tutte le donne dal cesareo. Ho presto realizzato che era impossibile, ma da quel senso di onnipotenza è nato il desiderio di diventare ostetrica. Ho lavorato in due grandi ospedali romani per molti anni e dal 2011 svolgo la libera professione. Nel frattempo ho avuto un altro figlio che sono riuscita a partorire spontaneamente, con le mie forze e questo è stato molto importante.

Che cosa ti sembra sia cambiato in questi anni nel percorso della nascita e che cosa invece è rimasto fermo?

Tutto e niente. Rispetto all’esperienza ospedaliera che ho fatto io, cioè 100% di episiotomie, donne sdraiate, legate al letto, maltrattate verbalmente e fisicamente, direi che forse questi eccessi attualmente non sono più così diffusi. Quando ha iniziato, e assistevo le donne in posizioni libere, venivo accusata di farle soffrire, di essere una talebana, con uno sconvolgente rovesciamento della realtà. Ora, dai racconti di giovani colleghe o studentesse specie in ospedali del Nord Italia, registro un cambiamento non tanto nel modello ma nella consapevolezza. C’è però una fortissima resistenza culturale, una forma mentis molto radicata che va addirittura contro le ultime evidenze scientifiche e cliniche. Di fatto, abbiamo reso anormale cioè che era normale, per esempio il parto extraospedaliero. Nonostante ci siano studi clinici importanti che ci dicono che il parto ex ospedaliero è assolutamente sicuro, se gestito secondo certi criteri, questo non è possibile dirlo se non in piccoli gruppi.

Quindi il lavoro culturale, di informazione, è fondamentale. Ma mi stai dicendo che avviene sotto forma di passaparola, magari fra donne che hanno già, per altri canali, sviluppato una certa consapevolezza…Perché non è più diffusa la coscienza della libertà di scelta nel percorso nascita? Ci sono resistenze di sistema ma anche personali?

Quello che cerco di sottolineare sempre, in tutti i miei webinar, alle colleghe, sui social è proprio la libertà di scelta. Non c’è una scelta giusta a priori. Parlo molto di parto extraospedaliero, ma non significa che sia la soluzione migliore per tutte, voglio essere molto chiara su questo punto.

Però il problema è che attualmente c’è un grosso inganno, perché le donne non sono assolutamente messe in condizione di scegliere. Innanzitutto perché, per esempio, rispetto al parto extra ospedaliero non c’è equipollenza. Il parto in ospedale è gratuito, quello a casa a pagamento ed anche caro perché è estremamente impegnativo per chi poi lo garantisce.

Già questo impedisce una vera libertà di scelta.

Poi c’è una informazione mainstream ancora estremamente di parte. Quando ai giornalisti cito la meta-analisi di The Lancet su 20 anni di parti in casa, pubblicata nel 2020, viene tagliata. L’obiezione classica è che l’ospedale dia maggiori garanzie; ma è un pregiudizio culturale, non supportato da evidenze scientifiche. I fatti dicono esattamente il contrario, ma se mi va male un parto  a casa finisco in prima pagina, se mi va male un parto ospedale ci sono articoli di giornale, ma non viene mai messo in discussione il luogo del parto: semmai l’operato degli operatori, che è un’altra cosa. Dal mio punto di vista questa è una grande manipolazione: le persone pensano di essere libere nella scelta, ma non lo sono, perché non hanno mai la visione completa di ciò che è possibile, in sicurezza.

Quanto alle resistenze, ci sono anche dinamiche personali naturalmente, la difficoltà per gli operatori di ammettere di aver sbagliato per 30 o 40 anni… ma le maggiori resistenze sono di sistema. L’ho visto in ospedale: mi sono licenziata da un tempo indeterminato quando ho capito che non mi scandalizzavo più. Avevo cominciato a pensare di essere io quella sbagliata, perché il sistema ti ingloba, e in certi tipi di sistemi come quello sanitario non c’è nessun pregio nel fare bene, anzi puoi dare fastidio perché vai a mettere in discussione certi tipi di dinamiche, certi tipi di ritualità, automatismi portati avanti anche in buona fede ma sulla base di evidenze cliniche non aggiornate, con un modello di fatto risalente di fatto ai primi del Novecento.

Un esempio: negli ultimi anni è aumentato il tasso di emorragia materna importante nei paesi industrializzati.

Con tutta la tecnologia che abbiamo, questo da cosa dipende?

Può dipendere anche da altri fattori, ma molto da un aumento esponenziale di tassi di induzione. Quella dell’induzione sta diventando un’epidemia.

E questo è un effetto dei tempi frenetici della sanità pubblica, dal fatto che non ci si può permettere di stare tanto in attesa?

No, come non è per ragioni economiche che si fanno più cesari, almeno nel pubblico.

Piuttosto, c’è paura, è tutto fondato sulla paura. Paura degli operatori sanitari di essere denunciati, paura di perdere un bambino, paura delle donne, delle coppie.

L’unica cosa importante in gravidanza sarebbe mantenere basso il livello di stress cronico ed è l’unica cosa a cui non dedichiamo attenzione.

Le donne arrivano al parto, nella maggior parte dei casi, totalmente stressate, hanno un livello di stress cronico altissimo e questo crea patologia, questo è riconosciuto.

E questo può derivare da una medicalizzazione ormai quasi obbligatoria, da una denaturalizzazione del processo?

Sì, anche se in genere cerco di evitare la parola ‘naturale’ perché si presta a fraintendimenti, uso termine fisiologico o regola biologica.

L’OMS ha sfatato già nel 1985 l’idea che un parto tecnologico sia un parto migliore, ma questo è un cambio di paradigma che ci mette decenni ad arrivare agli operatori.

Abbiamo vissuto centinaia di migliaia di anni in modo naturale, senza tecnologia; non ci siamo evoluti fra i grattacieli. E questo vale assolutamente anche per il parto. Se la narrazione

tossica che il parto è pericoloso per la madre e per il bambino fosse vera non staremmo qui io e te a parlarne saremmo estinti da tempo… Siamo dei mammiferi che si riproducono, se va bene, ogni 3-4 anni in natura, con un cucciolo o due.

E se abbiamo colonizzato il pianeta non possiamo pensare che in ogni parto le donne fossero a rischio di emorragia e i bambini che se non c’è un neonatologo pronto a salvarli non sopravviverebbero. Questo non significa, intendiamoci, che dobbiamo andare a partorire in mezo agli arbusti, ma che dobbiamo riavvicinarci ad uno stile di vita originario, in tanti sensi, dall’alimentazione ai ritmi. Ne sono talmente convinta che ci ho scritto un libro.

Qual è il messaggio che voresti donare a chi ci legge?

Primo: per donne e uomini, ritroviamo la fiducia nel corpo e nella connessione con noi stessi.

A noi donne viene insegnato che non possiamo sapere che cosa succede nel nostro corpo. C’è ancora un cultura patriarcale che ci dipinge come creature misteriose, o difettose. Ci viene detto fin da ragazze che dobbiamo andare dal ginecologo, mentre ai ragazzi non viene raccomandata una visita dall’andrologo. Giusto, ma è fondamentale soprattutto il contatto con il corpo e la conoscenza di sé. Iniziate all’inizio della gravidanza, informatevi, rispettate il fatto che il corpo vi chiederà di riposare. Per esempio, il periodo giusto per l’astensione dal lavoro obbligatoria non è tanto l’ultimo mese di gravidanza ma dovrebbero essere i primi tre.

Fisiologicamente funziona così, il progesterone ti chiede di dormire dalla mattina alla sera, come fai ad andare in ufficio? Se vogliamo proprio scegliere un messaggio, per me è questo: riascoltarsi

e ritrovare fiducia nel proprio corpo. E in se stesse: ricordiamoci che i medici sono professionisti, ma le donne, se imparano ad ascoltarsi, sanno più di tutti come stanno i loro bambini, e le neuroscienze stanno dimostrando questa connessione profondissima. Fidiamoci di più di noi stesse e del nostro istinto.