Parliamo di violenza ostetrica e ginecologica
Il termine violenza ostetrica non è nuovo; è stato utilizzato per la prima volta nel 1827 dal dottor James Blundell sulla rivista medica The Lancet. Nelle sue conferenze Blundell era estremamente critico nei confronti dell’approccio interventista nell’ostetricia secondo cui i medici utilizzavano mani, forcipe ed altri attrezzi per interferire in maniera libera ed indiscriminata nel processo di nascita, spesso con conseguenze violente).
Nel 1839 un pezzo pubblicato nel Botanico Medical Recorder riporta un capo di accusa per un caso di “violenza ostetrica” da parte del dottor Septimius Hunter nei confronti di Justine Cozens, che aveva portato al decesso di quest’ultima.
Nel 1957 l’infermiera americana Galdys Denny Schultz scrive riguardo a forme di “sadismo e crudeltà nelle sale parto” in una lettera pubblicata nel Ladies Home Journal e in un articolo pubblicato l’anno seguente nella stessa rivista, in cui la Schultz riportava casi vissuti in prima persona e lettere ricevute da donne che avevano subito varie forme di maltrattamento durante il parto.
Anche Sheila Kitzinger nel 1992 riprende il tema dopo aver ricevuto più di 340 lettere da parte di vittime di violenza ostetrica in Gran Bretagna.
Negli ultimi vent’anni il termine ha ricevuto un riconoscimento internazionale sia da parte delle Nazioni Unite che da numerosi governi dell’America Latina e Centrale (Venezuela, Argentina, Messico, Bolivia, Panama) in cui il concetto ha assunto una valenza legale al punto da essere inserito in specifiche leggi nazionali.
In Europa il discorso sta prendendo piede in Paesi come la Spagna ed il Portogallo, e campagne contro la violenza ostetrica sono state lanciate in Russia, Croazia, Francia, Finlandia, Ungheria, Olanda e Gran Bretagna.
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