Un cerchio di donne ‘in attesa’ ai piedi di una grande magnolia. È l’immagine scelta dalla regista napoletana Claudia Brignone per raccontare gravidanza e maternità, nel documentario Tempo d’attesa in programmazione dal 9 marzo.

Un lavoro che già fa parlare di se: ha vinto il Premio speciale della Giuria del 41° Torino Film Festival, la Menzione speciale della giuria ed il Premio Scuole al Sole Luna Doc Film Festival, ed è stato premiato come Miglior documentario italiano al Festival DocuDonna.

Soprattutto, interroga le donne, future madri che, accompagnate dall’ostetrica Teresa De Pascale, si incontrano per prepararsi alla maternità. E, attraverso quella esperienza, riflettono sui cambiamenti della condizione femminile, identificano bisogni e desideri, ridefiniscono la propria identità, creano una nuova comunità. È il cerchio di donne, esperienza femminile universale da cui ha preso le mosse AMINa.

Questa è la nostra chiacchierata con Claudia, che in questo lavoro ha portato la propria esperienza personale.

Come ti sei avvicinata al tema della maternità, perché hai voluto raccontarlo e cosa hai scelto di evidenziare?

Stavo per diventare madre e avevo molta paura di partorire cosi ho cominciato a fare un po ‘di ricerche circa esperienze che avrebbero potuto rasserenarmi.

Ho frequentato due corsi pre parto e poi ho incontrato l’associazione Terra Prena e l’ostetrica Teresa De Pascale. Grazie ai cerchi da lei condotti e alla relazione che si è creata con le donne del mio gruppo di gravidanza mi sono sentita forte e capace di scegliere di cosa avessi bisogno.  Ho vissuto una bellissima esperienza di parto in acqua e ho sentito l’urgenza di fare un film su questo tema per capovolgere lo stereotipo che il momento del parto debba essere per forza un qualcosa di negativo.

Cosa hai voluto dire scegliendo proprio questa immagine per la locandina che hai scelto per il tuo film? Mi ricorda il cerchio di donne da cui è partita AMINa…

L’immagine della locandina mi riporta alla bellezza degli incontri che spesso avvenivano in natura nello scenario meraviglioso del Real Bosco di Capodimonte. 

La Magnolia dell’immagine accoglie e protegge tutte noi ed è così che basterebbe sentirsi per vivere al meglio l’esperienza della nascita. Ovviamente anche in contatto con la nostra vera natura e po più libere dai condizionamenti esterni.

Quanto conta la presenza di una ostetrica come Teresa e la complicità di una rete femminile come quella che racconti? 

Per me è stata necessaria e fondamentale perché se si ha paura e  si hanno tanti dubbi già condividere questi con altre persone può essere di grande aiuto. 

Personalmente credo che se non avessi conosciuto Teresa e le donne del cerchio non avrei avuto la stessa esperienza di gravidanza di parto e di post parto. Stare insieme agli altri, avere un villaggio intorno e qualcuno che ti tende la mano può davvero fare la differenza! Tra le altre donne c’è sempre stata anche mia madre che ha sostenuto le mie scelte ed il mio compagno che si è interrogato con me e questo non è di poca importanza.

E qual è la tua analisi del contesto politico, culturale, economico e sociale della maternità oggi in Italia?

Il film vuole essere una riflessione anche sulle difficoltà che una donna, quando diventa madre si trova ad affrontare a causa del fatto che non c’è un sistema che ti tutela. La maternità in Italia si trova oggi al centro di una profonda trasformazione, strettamente legata a dinamiche sociali, economiche e culturali del Paese. Il tasso di natalità è in costante calo: nel 2023, secondo l’Istat, si è registrato un nuovo minimo storico con poco meno di 380.000 nascite, in calo del 3,4% dall’anno precedente, segnale di una crisi demografica senza precedenti. A questa situazione si aggiungono le difficoltà che molte donne incontrano nel conciliare la scelta di diventare madri con le esigenze della vita lavorativa e personale. Le disparità di genere continuano a rappresentare una barriera significativa: le donne in Italia guadagnano mediamente il 5,6% in meno rispetto agli uomini e affrontano spesso discriminazioni sul luogo di lavoro, come la penalizzazione professionale e salariale legata alla maternità. La mancanza di politiche di sostegno adeguate, come l’insufficienza di servizi per l’infanzia, congedi parentali equi e orari flessibili, contribuisce a rendere complesso il bilanciamento tra carriera e vita familiare. Anche la questione che dopo soli tre mesi dalla nascita di tuo figlio si debba tornare a lavorare, crea diversi problemi per chi vuole allattare. Inoltre persiste un immaginario tradizionale della maternità, che pone le donne sotto la pressione di aspettative sociali rigide e spesso lontane dai bisogni e desideri individuali.  

Per fortuna. si osserva un crescente bisogno di ripensare il ruolo della maternità e della genitorialitá, con l’emergere di spazi di confronto e riflessione più inclusivi e comunitari come quello che viene descritto nel film.

Come hai affrontato il tema ancora tabù della violenza ostetrica?

Io non volevo fare un film contro la violenza ostetrica altrimenti avrei fatto un film di denuncia. Volevo fare un film sulla consapevolezza perché come bene dice Teresa in una delle scene del film ” il punto è trovare in noi la strategia per non subire le violenze” dobbiamo rafforzarsi come donne e come madri perché se le mamme stanno bene, staranno bene anche i loro figli e le future generazioni e pretendere che vengano messi in atto in tutte le strutture le linee guida proposte dell’Organizzazione Mondiale della Sanità: bonding, taglio tardivo del cordone, scelta delle posizioni libere delle donna durante il travaglio, tenere il bimbo nelle prime 2 ore dopo il parto addosso alla madre, avere un cesareo dolce se è possibile…

Era importante per me non fare un film che mettesse in opposizione degli schieramenti rispetto al tema del parto ma che raccontasse delle storie che hanno il compito di emozionare per far riflettere tutti su quanto sia importante questo tema.

Cosa hai imparato da questo percorso, personale e professionale, e cosa vuoi far sapere alle future madri – e ai padri?

L’esperienza di lavoro vissuta grazie al film mi ha arricchito molto, ma questo accade ogni volta che faccio un film documentario. Hai a che fare con le vite degli altri, con le loro storie ed è un lavoro che ti fa stare sempre in una posizione di ascolto e di ricerca, ed è un privilegio. 

Poi personalmente grazie alla nascita di mia figlia ho sentito una forza che non avevo mai provato prima e questo mi ha davvero fatto fare un salto in avanti nella mia vita. Ho imparato ancora di più che la forza di un gruppo che ti sostiene e con cui ti senti libera di essere te stessa può essere una grande risorsa. Ho cominciato i primi sopralluoghi del film quando mia figlia aveva poco più di un anno e lei mi ha accompagnato durante tutto il percorso, è stata ed è una grande alleata.

Il film è in parte realizzato con il supporto della Regione Campania, ha vinto premi importanti, sta girando per diversi festival e ha già una programmazione capillare in Italia. Cosa speri di smuovere, o di creare?

Il film è stato comprodotto da Rai Cinema, ha avuto il supporto della Regione Campania e ha avuto due sponsor l’associazione Premio GreenCare ed Euphorbia srl. Il sostegno ricevuto da tutti questi enti e persone è stato davvero fondamentale come quello della montatrice Lea Dicursi e di tutta la squadra per questi anni di lavoro ed ora che grazie a Zalab è nelle sale e che concorre per la selezione documentari dei David di Donatello mi fa ben sperare che l’argomento della maternità e di una nascita accogliente non sia una questione personale ma bensì una questione su cui tutti dovremmo riflettere.