di Chiara Segrado – Presidente AMINa
Il coraggio di uscire dallo schema della “sacra vocazione” della maternità. Già negli anni Settanta, Adrienne Rich scriveva:”I lavoratori possono organizzarsi in sindacati e scioperare; le madri sono separate le une dalle altre, relegate nelle loro case, unite ai figli da vincoli affettivi; I nostri scioperi a gatto selvaggio perlopiù hanno preso la forma di esaurimenti fisici o mentali”.
Ripubblicato di recente, il testo “Nato di donna. La maternità come esperienza e istituzione” riporta nel dibattito sulla maternità temi ancora molto attuali, incluso quello del parto. “Per la maggior parte delle donne”, scrive la Rich ” il parto vero e proprio non ha mai implicato una scelta, o una partecipazione cosciente. Sin dai tempi preistorici il pensiero del parto è sempre stato associato alla paura, al dolore fisico, alla morte a tutta una catena di superstizioni, nozioni errate, teorie teologiche e mediche .. in altre parole, ci hanno insegnato ciò che noi dovremmo provare, dalla vittimizzazione volontaria all’appartamento estatico”.
Continua parlando di come per qualsiasi altro sforzo fisico come una scalata o l’attraversare la Manica a nuoto ci si concentri sul risultato, mentre sul parto – quello no! – lì ci si concentra su uno dei tanti elementi che ne compongono il processo, il dolore. Che tuttavia è un’esperienza relativa e laddove sia inevitabile, può sempre trasformarsi in qualcosa di utile.
Il capitolo continua citando Dick-Read e Lamaze, Sheila Kitzinger e l’antropologia Brigitte Jordan in un viaggio veloce ma esaustivo in quelle che per l’autrice all’epoca della stesura del testo erano le più recenti teorie sulla nascita.
Questa recensione si sofferma solo su uno dei capitoli del lavoro di Rich, “il primo testo femminista sulla maternità”, che benché sia stato scritto nel 1976 è di un’attualità disarmante, e che merita senza dubbio un’attenta rilettura.